Mark Knopfler - Yon Two Crows - Mark Knopfler's World

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Testi e traduzioni


Mark Knopfler
Privateering

Pubblicazione: 3 settembre 2012
Durata: 90min 07s
Dischi: 2
Tracce: 20
Etichetta: Mercury Records, Universal
Produttore: Mark Knopfler, Guy Fletcher e Chuck Ainlay
Registrazione: British Grove Studios di Londra, 2011-2012


Disco 1

Disco 2

Deluxe Edition bonus disc
Hill Farmer's Blues - 5:18    

Super Deluxe Edition bonus disc
Follow the Ribbon - 8:07    

Traccia disponibile con il download digitale da http://www.amazon.de


A cura di Francesco Moretti

C’è una canzone, sull’album ‘Privateering’, intitolata ‘Yon Two Crows’, giusto una canzone che parla di un agricoltore di montagna, ma avevo scritta un’altra, pubblicata su di un album precedente, chiamata ‘Hill Farmer’s Blues’, che parla di un personaggio simile.
Evidentemente, non avevo ancora finito con lui…”

Con questo scarno incipit del Nostro, comincia questo nono assalto nel mare mosso dei corsari, in questo caso un bellissimo, sia per testo che per arrangiamento musicale, brano rock con evidenti richiami al folk britannico, come l’evocativa melodia iniziale, ripetuta in modo più ritmato nel ritornello e suonata con cornamuse Uilleann, ci fa notare.
Il protagonista è, come ricordato da Knopfler, un contadino di montagna, nonché pastore di pecore, personaggio già visto, secondo l’autore, nella sopracitata canzone tratta dall’album “The Ragpicker’s Dream”, dove racconta, con tono non poco risentito, di volersene andare nella vicina cittadina di Tow Law, non solo per procurarsi il necessario per il suo duro lavoro, ma anche per avere il suo divertimento e per rivalersi di un amore che lo ha imbrogliato.
Ebbene, quello stesso contadino, o forse no, forse un suo fratello molto più vecchio ed inasprito nel carattere, ma anche più saggio, lo vediamo descrivere con grande disincanto la sua vita, fatta sempre degli stessi gesti, degli stessi rituali, della stessa grande fatica per tutti i giorni, dal canto del gallo al calare dell’oscurità.
Con sempre la stessa domanda a farsi largo tra i suoi pensieri, con rabbia mista a rassegnazione:
Ma chi ti ha messo, in quella testa di legno, la bella fola che avresti avuto di che vivere bene, facendo questo mestiere?”
Ne viene fuori una canzone-ritratto di rara intensità e bellezza, dove musica, parole e tono della voce ci fanno veramente sentire dentro la stessa fatica, la stessa rabbia, ma allo stesso tempo, la pervicace determinazione del personaggio a voler andare avanti, costi quel che costi, per un puro discorso di amor proprio e dignità.
Ma siamo sicuri che si tratti solo di questo?
Siamo veramente sicuri che, tra i versi di questa canzone, non si nasconda uno spaccato della vita stessa del suo autore?
E che questa canzone, quindi, diventi anche una canzone di situazione, con il Nostro come protagonista, sebbene sotto una veste differente?
È Mark stesso a fare chiarezza sui nostri dubbi, e a dichiarare quanto segue:

In gioventù, ho lavorato molto in fattoria, anche perché il mio primo, e breve matrimonio, fu con la figlia di un agricoltore, lassù nel Northumberland.
La mia vita consisteva in questo: alzarsi al mattino presto, mangiare in abbondanza e lavorare per quasi tutta la giornata, accorgendomi, giorno dopo giorno, che tutto quello che potevo mettere di me stesso in quel lavoro erano muscoli, grinta e perseveranza, come peraltro recitano i versi della canzone.
L’altra, dolorosa constatazione che mi toccava fare era che la chitarra, e la mia passione musicale già in essere allora, erano pesantemente messe in secondo piano da tutto quel lavoro, in quanto la sera, dopo tutta quella fatica, sentivo le mani rigide e contratte, ed il mio stesso stato mentale non era quello ottimale per mettermi a suonare e progredire con l’apprendimento della mia arte, e mi sentivo molto frustrato per questo.
Ma, allo stesso tempo, quell’esperienza mi insegnò tante cose importanti, prima tra tutte la capacità di saper apprezzare la perseveranza, la resistenza ed il valore di quelle persone che facevano quello stesso lavoro con me.
E questi sono concetti che è necessario imparare, in quanto il valore del lavoro, qualsiasi lavoro sia, in qualsiasi campo ed ambito, contribuisce in modo sostanziale alla costruzione del senso di dignità della vita di un essere umano.”

Anche un lavoro umile come quello di un agricoltore/pastore di montagna, uno dei pochi rimasti a sobbarcarsi gli affanni di un lavoro così gravoso ed usurante, ma con una storia di centinaia di anni alle spalle e comunque utile e prezioso per la comunità anche adesso, quindi degno di rispetto e foriero di dignità e senso di appartenenza.
E difatti sembra di sentirlo, il nostro pastore, mentre palesa la sua contentezza nel vedere il cielo rischiararsi, bevendo a sorsate il suo prezioso “Shampoo Per Pecore” dall'inseparabile fiaschetta, urlando a squarciagola ai corvi neri, suoi unici o quasi compagni di viaggio e di avventure, che lui, di morire giovane, non ne vuole sapere, che non si arrende davanti alle difficoltà, che quello, bello o brutto che sia, è il suo mestiere, e che se, per sopravvivere, dovesse, come i corvi, nutrirsi di carcasse di animali morti, sarebbe pronto, in osservanza dei concetti espressi nel periodo precedente, a farlo senza se e senza ma.
Rendiamo quindi il dovuto rispetto alla figura di quest’uomo, e rimaniamo in ammirazione davanti a quest’ultimo galeone, carico di oro e pietre preziose, catturato dal Nostro e dalla sua ciurma nel corso di quest’ultimo attacco.
Grazie, capitan Knopfler, e buona continuazione del tuo viaggio.


Quei due corvi lassù

Monetine dal paradiso? Ma non farmi ridere,
qui, tutto quel che avrai dal cielo sarà la pioggia battente,
oppure quei due corvi lassù, che volano sopra la collina,
in cerca di qualche preda morta assiderata.
Sempre attaccato alle suole degli stivali, il fango dietro la stalla,
con la sua presa appiccicosa,
ti si plasmerebbe addosso come un sarcofago, qui nel pantano
di un ovile sgangherato.

E tutto quello che puoi metterci sono muscoli e grinta,
perseveranza, di questo si tratta.
Chi ti ha messo in testa che avresti avuto di che vivere bene, facendo il pastore?
Mangi, lavori, mangi, lavori e dormi.”

Mi riparo sotto la gronda del capanno di montagna,
per sedermi qui, quando sono bloccato dalla pioggia,
quando ho bisogno di un posto dove andare ad elaborare la prossima transumanza (1),
o quando devo riflettere.
Il cane alza il suo sguardo per implorare,
crede che io sia un mago, e che abbia la bacchetta magica,
si appoggia al mio scialle di tweed,
gli do una iniqua mano da leccare.

Bevo un sorso di “Shampoo Per Pecore” (2) dalla mia fiaschetta,
ed ancora una volta mi domando:
Ma chi ti ha messo in testa che avresti avuto di che vivere bene, facendo il pastore?
Mangi, lavori, mangi, lavori e dormi.”

Giocavano a quel gioco qui, duecento anni fa,
avevano trenta modi diversi di morire, povere anime,
messe ad eterno riposo in file di tombe fradicie,
pioggia sui loro libri sacri.
Sangue e whisky sulla lingua,
e nessuno a sorvegliare nessun altro,
nessuno rimasto, tranne i più testardi,
e i corvi, i corvi neri.

Ah sì, il morire giovane…
beh, io non mi arrendo.
Tu mi guardi le spalle, io guarderò le tue,
posso ancora lavorare per due e bere per tre.

E levo in alto la mia fiaschetta, brindando alle schiarite in arrivo,
a voi corvi, uccelli spazzino, avvistatori di carcasse di animali
da frugare per sopravvivere,
se potete farlo voi, lo posso fare anch’io.


Lyrics

Yon Two Crows

Pennies from heaven? Don’t make me laugh,
here, all you get is the pattering rain,
or yon two crows, up over the hill,
looking for winterkill.
Always at your boots, the mud behind the byre,
with its clammy hold,
would mock you up a grave, here in the mire
of a wrecked sheepfold.

And all you bring to this is muscle and grit,
persistence, that’s just about it.
What made you think there’d be a living in sheep?
Eat, work, eat, work and sleep.”

Duck under the eaves of the bothy,
to sit here, caged by rain,
somewhere to go conjure a next move (1),
when i have to think again.
The dog lifts his gaze to plead,
believes the wizard has a magic stick,
leans his weight into my tweed,
i give an unholy hand to lick.

I take a swig of “Sheep Dip” (2) from my flask,
and once again i ask:
What made you think there’d be a living in sheep?
Eat, work, eat, work and sleep.”

They were at this game, two hundred years ago,
had thirty ways of dying young, poor souls,
laid to rest on their soggy rows,
rain on their holy books.
Blood and whisky on the tongue,
and no one watching over anyone,
no one left but your stubborn one,
and the crows and rooks.

Ah, the dying young…
well, i’m not done.
You watch me and i’ll watch thee,
i can still work for two men and drink for three.

And i raise my flask to the clearing skies,
to you, sweepers, you carrion spies
to scavenge and survive,
if you can do it, so can i.


(1) …elaborare la prossima transumanza… (…conjure a next move…):
Ho scelto questa espressione, rispetto alla più semplice “elaborare la prossima mossa”, in quanto avendo a che fare con un pastore, e non con uno stratega di guerra, si pensa che le mosse o gli spostamenti che deve elaborare non siano quelli di un esercito, ma di un gregge, quindi una transumanza da un pascolo all’altro.
Interpretazione personale, speriamo bene…
(2) “Shampoo Per Pecore” (“Sheep Dip”):
La dicitura, strettamente tra virgolette, è un modo di dire, tipico della campagna scozzese, per identificare il whisky distillato in proprio, in maniera non esattamente lecita.
In passato, i contadini scozzesi erano soliti produrre questa bevanda artigianalmente, nelle loro fattorie, e per evitare la tassazione, da sempre piuttosto alta per quel tipo di prodotto, lo travasavano in botti con scritto sopra “Sheep Dip”, ovvero il potentissimo shampoo antiparassitario con il quale veniva lavato, periodicamente, il manto lanoso delle pecore, allo scopo di eliminarne i parassiti che lo infestavano, evitando così, nella maggioranza dei casi, i controlli delle autorità preposte.
Per la cronaca, oggi Sheep Dip è una delle più rinomate marche di whisky scozzese, e sotto questa etichetta viene prodotto un distillato di 16 tipi diversi di malto, dal gusto perfettamente equilibrato, raccomandato da Ian Buxton, uno dei maggiori esperti del settore, come uno dei 101 migliori whisky da assaggiare prima di morire (così si intitola uno dei suoi libri più famosi sull’argomento, “101 Whiskies To Try Before You Die”).
Se vi va di provare…


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